Passi la Coca Cola, che anche se non sai esattamente cosa c’è dentro, però almeno non ti viene voglia di sputarla, il primo approccio con la RedBull provoca sempre un contrastante quesito: ma come si fa a bere sta roba?

Eppure il toro della Red Bull si beve tutti in termini di energy drink, entrando nella top ten dei brand più popolari del pianeta.

Se si cerca una risposta alla domanda ‘Ma il marketing aiuta a vendere?’, la Red Bull ne è l’esempio perfetto: non si parla più di bevanda ma di uno ‘stile di vita’, di un drink energetico che si è accaparrato il concetto stesso di mascolinità, di forza, di prestazione.

Un’astuta e vincente azione di marketing iniziata neanche 20 anni fa e che è stata protagonista di incredibili campagne pubblicitarie fino ad allora impensabili, senza mai parlare in sè della qualità del drink ma concentrandosi sui contenuti proposti, realizzati per incantare e stupire il consumatore, affascinato dalle prestazioni sportive realizzate.

Prima si è accaparrata il mondo degli sport estremi, poi lentamente si è insinuata nella Formula 1, poi ci ha portato nello spazio con il lancio con il paracadute più incredibile che sia mai stato fatto e dalla stratosfera si è infilata tra le nostre lenzuola con tutte le allusioni del caso su prestazioni che ti fanno mettere le ali.

Ogni azione, ogni allusione, ogni sorriso o ammirazione strappata da Red Bull non parla mai del prodotto in se, ma ci lascia sognare, ci fa credere che un sorso di Red Bull ti trasforma in super eroe del quotidiano.

Il torello austriaco convince e vince così la sfida ogni anno in termini di fatturato, con numeri inarrestabili per niente scontati in un campo estremamente competitivo come quello delle bevande gassate.

Ma forse, quando tutti si sforzano di realizzare la prossima Coca Cola, perdono di vista l’obiettivo principale: la gente che può comprarsi qualcosa di differente dall’acqua (e che quindi non muore di sete), non beve per dissetarsi ma beve per appagare un’aspettativa.

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