Una pubblicità provocatoria che, in un certo senso, ha colto nel segno. Ovvero, ha fatto parlare di sé e del prodotto promosso. Ma far scattare la polemica è un modo utile di vendere? Sollevare il polverone è una strategia vincente? Di pubblicità provocatoria, direte voi, è pieno il mondo. Quindi sì.
L’utilità della pubblicità provocatoria
Vero, è pieno il mondo di cartelloni ammiccanti. Ma poi qualcuno ha verificato se, effettivamente, tante parole su quotidiani, radio eccetera, per parlare di queste polemiche si sono trasformati in fatturati? In aumento effettivo delle vendite? Solamente i manager delle aziende che hanno optato per questa formula di pubblicità potrebbero rispondere. Bisogna diversificare la tipologia di messaggi che si vogliono far arrivare con questa pubblicità provocatoria. Perchè? Perché spesso lo “scandalo” è stato utilizzato anche per far arrivare messaggi importanti. Un esempio è stata la campagna promossa dai medici americani con l’Uomo Ragno impegnato a donare il sangue. Per promuovere la donazione al grido di “Possiamo essere tutti supereroi”. Oppure, sempre negli States, la campagna contro l’abuso di alcol. Nella quale sono state utilizzati immagini di parcheggi riservati agli ubriachi. Il “problema” è che i parcheggi in questione sono tutti intorno agli alberi. Diciamo che spesso e volentieri un linguaggio forte è stato scelto per far arrivare un messaggio più che altro sociale.
Basti davvero che se ne parli?
Ma quando si parla di commercio in senso stretto? Quando messaggi forti, immagini shock oppure il sesso viene usato per vendere e basta? Beh, lì è difficile capire quanto questo genere di pubblicità provocatoria faccia bene o male al budget aziendale. Perché qualche anno fa, quando un marchio come Benetton fece baciare un prete ed una suora sui propri cartelloni, il casino sollevato fu grandissimo. Ma adesso colpire, o shockare, un pubblico abituato a messaggi forti è più complicato. Ne è un esempio la campagna del brand di abbigliamento Erick Evans, accusata di essere sessista. E rimossa ma solamente in parte. In pratica su questi enormi cartelloni pubblicitari si vedeva un ragazzo, completamente nudo, cingere a sé tirandole i capelli una ragazza anch’essa in costume adamitico. Entrambi seduti su un divano.
Da Pandora a Evans
Ebbene, questi cartelloni in alcune città italiane sono stati tolti. In altre no. In un caso, a Napoli per la precisione, è stata tolta perché pare fosse troppo vicina ad un ospedale pediatrico. A Milano e Roma, invece, è rimasta regolarmente al proprio posto. Che dire poi del caso Pandora? Quando a Natale lo slogan pubblicitario recitava “Un ferro da stiro, un pigiama, un grembiule, un bracciale Pandora”. Ad arrabbiarsi allora furono le signore, come se ogni donna debba – ancora – essere tutta figli e cucina. Più che sull’immagine forte occhio, quindi, soprattutto al messaggio che si trasmette. Se tocca corde sensibili bisogna capire se, davvero, il gioco (pubblicità provocatoria) vale la candela (aumento delle vendite).
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